
ASSEGNO UNICO UNIVERSALE 2025
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Quando si parla di pensioni si guarda spesso con nostalgia al calcolo retributivo dell’assegno, ben più vantaggioso rispetto al contributivo che – a partire dal 1° gennaio 1996 – lo ha sostituito.
Chi non conosce bene questi due sistemi di calcolo della pensione, però, si chiede il motivo per cui il regime retributivo sia più vantaggioso rispetto a quello che stiamo utilizzando dal 1996 (o dal 2012 in alcune circostanze) e continuerà ad essere in vigore anche nei prossimi anni.
Va detto che il regime contributivo premia coloro che ritardano il collocamento in quiescenza, in quanto in questo modo si valorizzano maggiormente i contributi accreditati in tutto l’arco della carriera lavorativa. Nel calcolo del cosiddetto montante contributivo, infatti, incidono tanto gli anni di lavoro quanto gli stipendi percepiti.
Per avere una pensione elevata, quindi, bisognerà aver mantenuto una carriera piuttosto continua e ben retribuita, e come se non bastasse anche ritardare la data del pensionamento aiuta.
Si tratta di fattori introdotti proprio per rendere più sostenibili gli assegni di pensione, legandoli a quanto effettivamente versato dal lavoratore nel corso della sua carriera. Il sistema retributivo non soddisfava questa condizione e a lungo termine il sistema di calcolo sarebbe stato insostenibile per le casse dell’INPS.
Questo perché il metodo di calcolo utilizzato nel regime retributivo premia gli ultimi anni di lavoro, quando le retribuzioni sono notoriamente più elevate rispetto a quelle riconosciute ad inizio carriera. Ci si trovava, quindi, a riconoscere al pensionato più di quanto effettivamente versato.
Per rispondere a questa domanda dobbiamo vedere come funziona il regime retributivo per il calcolo della pensione (per la parte di contributi versata prima del 1° gennaio 1996).
Come anticipato, attraverso il metodo retributivo la pensione viene determinata prendendo come riferimento le retribuzioni percepite nel periodo di tempo immediatamente precedente l’accesso alla pensione. La prestazione finale viene calcolata come somma di diverse quote, quali:
Le due quote vengono poi rivalutate: per la Quota A la rivalutazione è pari all’incremento del costo della vita, mentre per quelle successive è pari all’incremento del costo della vita più un punto percentuale all’anno.
A loro volta, le medie retributive rivalutate vengono moltiplicate per un rendimento annuo. Questo varia a seconda di una serie di fattori (come ad esempio la collocazione temporale delle anzianità maturate), ma solitamente è pari al 2% della retribuzione pensionabile per ogni anno di anzianità contributiva.
L’anzianità contributiva riconosciuta non può comunque superare i 40 anni: nella migliore delle ipotesi, quindi, si andrà in pensione con l’80% della media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni.
Nel calcolo retributivo della pensione si prendono come riferimento le migliori retribuzioni. Non si guarda a tutta la storia lavorativa e questo inevitabilmente premia il pensionato.
Per capire quanta differenza c’è tra l’uno e l’altro sistema, prendiamo come esempio un lavoratore che accede alla pensione di vecchiaia che ha più di 40 anni di carriera e un reddito medio annuo di 30.000€.
Con il regime retributivo questo andrà in pensione maturando un assegno pari all’80% del reddito, quindi, 24.000€. Si stima, invece, che laddove la pensione sarebbe stata calcolata interamente con il contributivo, il trattamento previdenziale sarebbe stato pari al 54% del trattamento lordo, quindi circa 16.200 euro l’anno.
Fonte: https://www.money.it/pensioni-retributivo-piu-vantaggioso-contributivo
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